LOGIN
PASSWORD
Registrati ora
|
Recupero password
Terapie dietetiche
Trattamento psicologico
Farmaci
Palloncino endo
gastrico
La chirurgia
Bendaggio gastrico
Il By-pass gastrico
Diversione
bilio-pancreatica
Gastroplastica verticale
Addominoplastica e mastoplastica
Lipoaspirazione
Chirurgia plastica
Ginnastica e obesità
Gli effetti dell'allenamento
La valutazione
Considerazioni
Esercizi
TRATTAMENTI - TRATTAMENTO PSICOLOGICO
Dei pellegrini che andarono a visitare un saggio Zen quasi centenario, il quale dimostrava non più di cinquant'anni, gli chiesero:
"Qual è il segreto per mantenerti così giovane e in forma?"
lui ripose
"Mangio quando ho fame e dormo quando ho sonno."
Con questa breve risposta lo Zen voleva dire che era in grado di riconoscere ed assecondare i propri stimoli interni.
Spesso l'obeso confonde le emozioni e le sensazioni con la fame. Quindi, mangiare diventa un metodo per soddisfare quasi tutte le proprie esigenze con il risultato, ovviamente, di ingrassare e non aver esaudito i propri reali bisogni. La fame è regolata da meccanismi fisiologici ben precisi che ne bloccano lo stimolo una volta che l'organismo s'è nutrito a sufficienza. Quindi se si continua ripetutamente a mangiare oltre il proprio fabbisogno vuoi dire che sono subentrati dei fattori di tipo psicologico aventi poco a che fare col bisogno reale di nutrirsi. Quanto detto è una premessa fondamentale per iniziare qualsiasi tipo di trattamento psicoterapeutico efficace ed è importante che il paziente in questione ne venga ben informato.
Ricordiamo a questo proposito che soltanto il 5% dei casi di obesità è causata da disfunzioni di tipo ormonale. Lintervento per il trattamento dell'obesità può essere articolato in vari modi ed avere diversi obiettivi.
La strategia d'intervento per ogni paziente va stabilita in sede di primo colloquio individuale, durante il quale vengono chieste informazioni personali e, soprattutto, si cerca di capire come vive il suo problema di obesità, come intende affrontarlo, come conviverci, come superarlo e cosa si attende dal trattamento; è importante, perciò, capire in questa fase, quanto sia motivato ed ottimista o sfiduciato nelle aspettative di successo.
Si chiede, poi, un rapporto dettagliato del suo stile alimentare, vale a dire un diario giornaliero di ciò che ha mangiato nell'ultimo periodo, quando e in presenza di chi o di che cosa il soggetto si alimenta eccessivamente; ad esempio se mangia di più a casa o fuori, quando è solo o con qualcuno e, soprattutto, con chi. Tutto ciò è utile per identificare i fattori scatenanti del bisogno eccessivo di cibo; ad esempio esistono i mangiatori dei giorni feriali e quelli del weekend; probabilmente i primi hanno maggiori problemi collegati alla sfera lavorativa mentre i secondi, a quella affettiva-relazionale.
E' importante capire, poi, quanto l'ingrassare influisca sul suo stile di vita e quanto, invece, lo stile di vita influisca sul suo peso corporeo.
Sono utili in questa fase domande del tipo:
"Se avesse un peso normale cosa le cambierebbe nella vita?"
"Quali sarebbero per lei i vantaggi e gli svantaggi di una tale condizione?"
"Cosa potrebbe fare che ora non fa... o viceversa?"
Poi si passa alla sua storia personale per cercare di capire in che modo essa l'ha predisposto all'obesità.
Si procede, dapprima, in maniera longitudinale, cioè cronologicamente, partendo da informazioni sulla sua famiglia riguardanti i genitori, fratelli, persino i nonni e gli altri parenti. Si prosegue, poi, sulle informazioni, nei limiti del possibile, riguardanti la sua nascita, il periodo dell'allattamento, dello svezzamento, la strutturazione dei primi legami d'attaccamento, l'atteggiamento dei suoi genitori o di chi per essi, nei riguardi del cibo; quindi lo stile alimentare generale in famiglia ed, inoltre, se vi sono o vi sono stati, altri obesi all'interno di essa etc. E' importante, in questa fase, verificare la qualità dei legami affettivi e, in particolare, quello con la figura d'attaccamento principale. Carenze affettive, in questo periodo, possono influire in maniera molto negativa sul suo senso di amabilità, soprattutto se le richieste di attenzione ed affetto vengono ricompensate, più che altro, con offerte di cibo ad ogni manifestazione di pianto del bambino.
Si passa, poi, al periodo dell'asilo, della scolarizzazione, con l'analisi dei primi rapporti extra familiari, l'avvento di eventuali disturbi e malattie fisiche o psichiche fino ad arrivare all'età adulta e al periodo attuale tenendo, naturalmente, in particolare considerazione la strutturazione dei legami affettivi e d'amicizia.
L'analisi trasversale, invece, consiste nel fotografare determinati momenti della sua vita in cui sono capitati avvenimenti significativi e dove ci sono stati rilevanti cambiamenti del comportamento e del proprio peso corporeo.
Ciò, naturalmente, aiuta a ricostruire i vari fattori che hanno contribuito alla formazione del problema.
Dopo questa fase di analisi e definizione del problema si passa alla formulazione degli obiettivi che, innanzitutto, consistono in collaborazione con un esperto di scienze dell'alimentazione in una corretta informazione sull'assunzione dei cibi e degli effetti che essi comportano nel nostro organismo; e, successivamente, nel comprendere quanto sia importante saper riconoscere nella maniera corretta le proprie sensazioni fisiche (caldo, freddo, fame, sete, sonno, dolore, etc.) e le proprie emozioni (rabbia, ansia, tristezza, gioia, etc.). Dopo una corretta informazione, si può passare al counseling, dando delle indicazioni e dei consigli su come aiutarsi nel caso in cui si riesca a dimagrire, o come riuscire a convivere felicemente con la propria obesità.
Qualora questi tipi d'intervento non si rivelassero sufficienti ad affrontare adeguatamente il problema, si passa alla psicoterapia vera e propria che, a seconda delle scuole di formazione, può essere condotta in vari modi.
In questa sede descriviamo il metodo cognitivo-comportamentale per affrontare il problema dell'obesità.
E' narrato astrarre il problema "obesità" dalla complessità dell'individuo, anche se sono molto utili interventi sintomatici specifici. II comportamento alimentare abnorme viene considerato come espressione di un malessere più generalizzato che trova, spesso, le sue radici in una bassa auto stima, nella mancata, parziale o totale realizzazione dei propri interessi esistenziali, nella sensazione di solitudine, nell'incapacità di creare e mantenere dei legami affettivi soddisfacenti, nel suo senso di auto inefficacia, nella visione negativa del mondo e del futuro, nel non sentirsi considerati a sufficienza e via dicendo.
Tutto ciò porta alla tristezza e quindi ad uno stato depressivo.
Inoltre l'eccessiva percezione di pericolo e di difficoltà ad affrontare un compito o, comunque, alcune situazioni di vita quotidiana, predispone a stati d'ansia. Ebene, poi, tenere presente che, sia a causa dell'eccessivo peso corporeo, sia per pigrizia, l'obeso tende ad economizzare molto il movimento fisico, tutt'al più riducendolo ad un paio di ore di palestra a settimana, mentre è importante capire che uno stile di vita più dinamico che va dal cercare di usare l'automobile il meno possibile ad evitare l'ascensore, evitare di sedersi durante i tragitti effettuati coi mezzi pubblici, aiuta a perdere calorie, quanto e più della palestra stessa. Infine, il sentirsi ingiustamente colpiti o danneggiati dagli altri crea un disagio psicologico che stimola rabbia.
Tutto ciò, comprese le emozioni positive, come gioia e piacere, possono essere erroneamente codificate dall'obeso come fame.
Premesso questo, il lavoro terapeutico, dal punto di vista
cognitívo-comportamentale, si articola su tre livelli:
Comportamentale
Una tecnica comportamentale efficace, che opera direttamente sul sintomo iperfagia (mangiare in maniera spropositata), è l'avversativa che consiste nell'associare l'assunzione di cibo a qualcosa che evoca disgusto e repulsione nel paziente; ad esempio trovarsi davanti ad un piatto fumante di pasta con le olive nere e scoprire, mentre la si sta mangiando, che in realtà le olive sono degli scarafaggi, i quali una volta passati in bocca subiscono lo schiacciamento della loro corazza da parte dei denti e la loro sostanza interna semiliquida, biancastra, viscida e nauseabonda, inonda tutto il cavo orale.
Questa metodologia può, benissimo, essere usata anche solo a livello immaginativo, magari con l'ausilio di esercizi di concentrazione quali il training autogeno etc.
E' ovvio che la tecnica va personalizzata da individuo a individuo, in quanto ognuno prova repulsione per delle cose e per altre no e predilige dei cibi ad altri. Il principio su cui si basa questo metodo è quello d'associare uno stimolo estremamente piacevole ad uno repellente e sgradevole per il soggetto.
Si tratta, quindi, di una vera e propria tecnica di condizionamento, che produce i suoi risultati già in pochissime sedute, soprattutto se esse hanno una frequenza di due-tre volte a settimana.
Emotivo
L'intervento sulle emozioni è direttamente collegato a quello dell'analisi del pensiero (cognitivo) e consiste, innanzitutto, nel saperle riconoscere e codificare nella maniera giusta. Si inizia con l'imparare a distinguere le sensazioni principali del proprio corpo: la fame, la sete, il caldo, il freddo, il sonno, il dolore etc.
Tutto ciò comporta un notevole esercizio da parte del paziente che non è stato mai addestrato in tal senso.
Poi si passa alle emozioni: gioia, piacere, dolore, rabbia, tristezza, rifiuto, paura, etc. e si utilizza lo stesso procedimento.
Cognitivo
(il proprio modo di pensare)
L'intervento cognitivo risulta essere il più importante in quanto è il cervello ad elaborare e codificare le informazioni interne ed esterne.
A tal proposito si parte dal presupposto che il nostro modo di pensare, già nel settimo anno di vita, per il 75%, è strutturato e, in base alle esperienze dirette ed all'educazione ricevuta, ognuno si forma una visione personale sia del mondo che di se stesso.
Egli acquisisce una serie di convinzioni che tenderà a mantenere più o meno inalterate nel tempo, in quanto, attraverso il suo comportamento e la sua tendenza a porgere maggiore attenzione a determinati stimoli rispetto ad altri, sarà portato ad autoconfermarsele, senza spesso esserne sufficientemente consapevole.
Così, se un bambino è cresciuto con l'idea che suo fratello è bello e intelligente, mentre lui è brutto e stupido, continuerà a mantenerla pure da adulto anche se i fatti dimostreranno il contrario; proprio il suo comportamento, nel mostrarsi ad esempio poco deciso e sicuro, tenderà ad essere meno credibile e propositivo del fratello che, invece, si sente sicuro di sé. E' importante sottolineare che la bassa autostima dell'obeso implica, spesso, l'idea di non riuscire mai a portare a termine nulla nella vita, e, naturalmente, anche le diete dimagranti. Quindi, un certo modo di pensare può stimolare delle emozioni positive o negative, a seconda dei casi; ad esempio pensare di non essere all'altezza degli altri, perciò possedere una bassa autostima, vuoi dire essere predisposto alla tristezza ed a stati depressivi. L'esagerata valutazione di un pericolo può causare dell'ansia e della paura ingiustificate. Vivere il prossimo in maniera ostile può stimolare eccessiva rabbia e così via.
Quindi, attraverso l'analisi del pensiero è possibile sia individuare le proprie convinzioni irrazionali, sia le emozioni che esse scatenano.
Un metodo d'analisi in tal senso molto valido è il diario giornaliero; esso consiste nel registrare su un foglio gli eventi ritenuti significativi durante la giornata, soprattutto se collegati ai comportamenti alimentari.
Tale foglio viene diviso in quattro strisce parallele: sulla prima viene descritto l'evento accaduto; nelle successive, in ordine, vengono registrate le seguenti condizioni denominate:
"Cosa faccio", " Cosa penso", "Cosa provo".
Nella striscia del "Cosa faccio" viene descritto il comportamento di reazione del soggetto all'evento in causa, soprattutto se si tratta di comportamenti alimentari.
Nel "Cosa penso" vengono registrate le idee e le convinzioni riguardanti le interpretazioni dell'evento e le conseguenze che esso comporta.
Infine nel "Cosa provo" vengono indicate tutte le manifestazioni somatiche, sensoriali ed emotive percepite dal soggetto.
Un esempio potrà chiarire meglio quanto appena esposto.
Evento:
una ragazza riceve una telefonata dal suo fidanzato, il quale le comunica che quella sera non può uscire con lei a causa di altri impegni,
"Cosa faccio":
la ragazza apre il frigorifero ed inizia a mangiare spropositatamente, fermandosi solo quando è completamente piena.
"Cosa penso":
"il mio ragazzo ha trovato una scusa per non uscire con me, la verità è che io valgo poco o niente perciò avrà facilmente trovato qualcuna meglio di me con cui uscire stasera", "Questo è il segnale che lui si sta stancando di me e presto mi lascerà ed io rimarrò sola per il resto della mia vita, perché nessuno mi ama o può amarmi veramente",
"Quindi non mi resta che consolarmi col cibo, anche se questo peggiorerà la mia situazione, in quanto da grassa sarò ancora meno accettabile".
"Cosa provo":
tristezza, delusione, apatia, senso di vuoto, rabbia, soprattutto una gran fame, senso di debolezza, dolori alla schiena e spalle.
Come si può notare, già da una breve registrazione come questa, si possono raccogliere moltissime informazioni che vengono poi chiarite e discusse fra il terapeuta e il paziente. Levento scatenante, quindi, è la telefonata del fidanzato. La ragazza per reazione (cosa faccio) corre al frigorifero ed inizia a mangiare spropositatamente.
Inoltre interpreta a livello cognitivo quanto detto per telefono dal fidanzato come un rifiuto nei suoi confronti, in quanto ha una bassa auto stima etc. Ed infine (cosa provo), le naturali emozioni conseguenti al suo modo di pensare: tristezza, apatia, senso di vuoto etc., vengono in gran parte confuse con la fame.
A questo punto è ovvio che corra al frigorifero per mangiare.
Naturalmente, il diario può riempirsi in un giorno di numerosi e svariati eventi, figuriamoci, allora, quanti ne possono essere riportati in una settimana, in un mese, e così via; per cui le informazioni che si possono raccogliere, attraverso questo sistema, sono tantissime, e ci si accorge che gli schemi utilizzati dal soggetto in questione sono simili tra loro e ripetitivi.
A questo punto, l'intervento del terapeuta consiste, tra l'altro, nel rendere consapevole il paziente della sequenzialità degli schemi che lui adotta e soprattutto nella rimessa in discussione delle sue convinzioni disfunzionali. Lo aiuta, così, a dimostrare che sono ingiustificate e a trasformarle, poi, in idee più elastiche ed idonee alla sua condizione ed alla realtà esterna facendolo rendere conto, inoltre, che si tratta di altre emozioni e sensazioni e non di fame, per cui sono esse che vanno realmente soddisfatte.
In sintesi: la persona in questione deve entrare in un nuovo modo di pensare, più costruttivo e realistico per lei ed imparare a dormire quando ha sonno ed a mangiare quando ha realmente fame, come faceva appunto il saggio Zen.
La terapia di gruppo
Essa si rivela molto utile, in quanto gli obesi hanno la possibilità di confrontarsi direttamente con altri depositari dello stesso problema, perché ognuno, spesso, ritiene che il suo sia un caso disperato e diverso dagli altri.
Ciascuno perciò può, in un contesto di gruppo, far tesoro delle proprie esperienze per portare il proprio contributo agli altri.
Molto di quanto detto precedentemente può essere utilizzato dal terapeuta anche all'interno del gruppo, col risultato di far circolare una quantità enorme di messaggi ed informazioni.
Qualunque siano le ragioni dell'obesità è ovvio che, per aiutare una persona a dimagrire e a mantenere il peso raggiunto, non basta dire "mangia di meno", così come non si guarisce un alcolizzato dicendogli semplicemente "smetti di bere".
Questo paragone non è stato preso a caso: mentre l'alcolista sente una mancanza di sicurezza ed ha i suoi problemi emotivi, anch'egli trova terribilmente difficile reagire alle proprie abitudini; spesso si vergogna di sé stesso ed ha continuo bisogno di aiuto e assistenza. Di conseguenza, è stato quanto mai logico che le esperienze fatte da organizzazioni quale la "Alcolisti Anonimi", formata da ex alcolisti per il soccorso agli alcolizzati, fossero impiegate per la cura dell'obesità.
Si è quindi iniziato a riunire in gruppi le persone di peso anormale e a curarle non solo singolarmente ma anche come individui che hanno interessi e problemi in comune. Soggetti che superano perlomeno del 20% quello che dovrebbe essere il loro peso normale vengono riuniti in gruppi di 10-12.
Ogni componente del gruppo passa un accurato esame medico e psicologico e può discutere con gli specialisti i propri problemi personali.
Gli incontri dei vari membri, condotti da un medico ed uno psicoterapeuta, avvengono una volta la settimana, per 12 settimane consecutive; ogni seduta inizia con un discorso sui problemi dell'obesità e delle diete e poi segue una discussione.
Dopo alcune sedute, i membri del gruppo incominciano a perdere la loro timidezza e la sensazione di essere degli anormali, iniziano a fare domande e partecipano alla discussione parlando liberamente della propria obesità e dei propri problemi in generale. I gruppi procedono così bene che molti membri continuano a ritrovarsi dopo che le sedute di terapia vere e proprie sono finite e non è più necessaria una direzione da parte degli specialisti.
Il protrarsi degli incontri è incoraggiato dagli stessi terapeuti, perché è facile che una volta abbandonati a se stessi i pazienti si dimentichino di seguire le consegne, compresa la dieta loro prescritta.
Il continuo contatto con gli altri ex obesi, invece, li aiuta a preservare ed aumentare il loro senso di sicurezza.
Le statistiche dimostrano che i risultati migliori sono stati raggiunti con quegli individui che partecipano agli incontri regolarmente ed assiduamente. Essi infatti non solo riescono a dimagrire ma, risultato ancora più significativo, riescono a mantenere il peso raggiunto, anche se tutti i precedenti sistemi di dieta e medicine da essi sperimentati non avevano dato loro alcun risultato duraturo.
E' inoltre importante sollecitare la loro presenza nella collettività, prendendo delle iniziative, poiché, specialmente in Italia, i grandi obesi tendono a condurre una vita piuttosto ritirata e ad intraprendere poche iniziative sociali.
Prevenzione e trattamento dell'obesità nell'infanzia
In genere i problemi psicologici del bambino sono strettamente collegati ai comportamenti dei genitori, per cui eventuali suoi disturbi sono segnali che vanno colti ed interpretati, soprattutto in riferimento ad eventuali problematiche familiari.
Naturalmente anche l'obesità infantile è compresa in tale contesto, quindi, fin dal periodo dell'allattamento, è utile fornire informazioni e counseling sull'alimentazione del bambino: ad esempio, cercare di allattare il piccolo in momenti di tranquillità ed armonia, per evitare che percepisca la tensione che influirebbe sul suo succhiare.
Inoltre va cercato un buon compromesso fra la regolarità nell'orario dell'allattamento e l'assecondare la effettiva richiesta di cibo da parte del bambino.
Infine è importante saper cogliere e codificare correttamente i suoi segnali che a volte sottintendono un bisogno di cibo, ma che, in altri casi, avvertono un suo desiderio di attenzioni, contatto fisico etc.
A tal proposito, è utile tenere presente alcuni principi di psicologia dell'infanzia.
Verso il sesto, settimo mese di vita il bambino ha ormai tutti e cinque i sensi ben sviluppati (vista, udito, olfatto, tatto e gusto) e, inoltre, comincia a capire di non essere un tutt'uno col mondo circostante, ma un individuo ben distinto dagli altri e dalle cose. Per cui inizia ad avere paura di perdere le sue figure d'attaccamento principali.
Il bambino, comunque, sceglie soprattutto una figura come principale oggetto d'attaccamento ed essa corrisponde all'adulto che, sia per qualità che per quantità, sta maggiormente a contatto e si prende più cura di lui.
In genere, naturalmente, questa persona è rappresentata dalla madre, ma al giorno d'oggi, dato che le mamme sono spesso molto impegnate con il lavoro, può capitare che diventi la nonna o la baby sitter colei che rappresenta l'affetto principale per il bambino e perciò la sua effettiva "mamma".
Questa figura, che da ora in poi chiameremo per comodità "mamma", si occupa della maggior parte dei bisogni del bambino, della sua esigenza di protezione da una parte e del suo desiderio d'esplorazione dall'altra.
A tal proposito sono stati distinti, in linea di massima, tre tipi di relazione madre-bambino:
La prima è quella strutturata con un attaccamento normale, dove la mamma è abbastanza protettiva, attenta ai segnali del bambino ed al loro significato, che contemporaneamente, lo incoraggia ad esplorare ed a rendersi, col passare degli anni, sempre più abile ed autonomo nell'affrontare il mondo.
La seconda viene definita relazione con madre iperprotettiva dove la mamma protegge eccessivamente il suo piccolo fino a soffocarlo ed a inibirne le sue abilità ed il suo futuro senso d'indipendenza ed autonomia.
La terza riguarda la relazione con una madre lassaiz-faire, vale a dire una persona che s'interessa poco e poco comprende le esigenze del suo bambino.
In questo caso il piccolo, non sentendosi protetto a sufficienza, avrà paura di esplorare e quindi anche lui crescerà timido e insicuro.
Oppure deciderà di prendere delle iniziative da solo rimboccandosi le maniche, ma in entrambi i casi maturerà la convinzione di essere poco amato e quindi si sentirà non molto amabile nella sua vita futura in generale.
Da quanto descritto è ovvio che difficilmente un bambino in una relazione di attaccamento normale, descritta nel primo caso, avrà grossi problemi di alimentazione, mentre con una madre iperprotettiva il bambino verrà nutrito esageratamente per troppa apprensione ed eccessivo accudimento.
Infine nel caso del tipo 3, la madre può spesso interpretare in maniera sbagliata i segnali mandati dal suo figliolo (pianto, riso, urla) e codificarli, ad esempio, come fame, per cui il bambino riceverà cibo ad ogni suo tipo di richiesta ed imparerà così a scambiare anche lui per fame tutte le sue effettive esigenze affettive, di attenzione.
Facilmente sarà portato poi a compensare il suo senso di solitudine con il cibo.
E' importante, quindi, aiutare le mamme dei bambini obesi a riconoscersi in una di queste categorie, che ovviamente spesso non sono nella realtà così nette, al fine, innanzitutto di migliorare il rapporto con i loro piccoli e di conseguenza aiutarli ad insegnargli una educazione alimentare adeguata, dove la fame viene ben distinta da altri bisogni ed altre emozioni, quali gioia, tristezza, piacere, dolore, ansia, rabbia, curiosità, rifiuto. Solo così il bambino potrà crescere in maniera equilibrata, con l'aiuto, naturalmente, anche dell'altro genitore e tenendo inoltre presente che maggior armonia regna fra i genitori e più tranquillo si sente il bambino
FIRENZE
Presidio Ospedaliero Palagi (IOT)
Viale Michelangelo, 41
50122 FIRENZE
Contattaci via email
Seguici su facebook
ASSOCIAZIONE ITALIANA OBESITA'-AIO
29 maggio 2015
5 giugno 2015
26 giugno 2015
3 luglio 2015
11 settembre 2015
Scarica il programma
Il Body Mass Index (BMI) o Indice di massa corporea è quindi un indice affidabile che valuta il rapporto tra peso, altezza ...
Calcola
L'OBESITà
Cos'è l'obesità
Obesità e società
Problemi quotidiani
La traspirazione
L'abbigliamento
Gli ambienti...
La socialità
I trattamenti
Terapie dietetiche
Trattamento psicologico
I Farmaci
Palloncino endogastrico
Ginnastica e obesità
Gli effetti dell'allenamento
La valutazione
Considerazioni
Esercizi
la chirurgia
La chirurgia
Bendaggio gastrico
Il By-pass gastrico
Diversione
bilio-pancreatica
Gastroplastica verticale
Addominoplastica e mastoplastica
Lipoaspirazione
Chirurgia plastica
servizi
Calcola il tuo BMI
L'esperto risponde
FAQ
Calcola quanto mangi
Il notiziario
Pubblicazioni utili
ALTRO
Home
Archivio news
Contatti
Powered by